Per ingannar l'attesa fra un post e l'altro

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mercoledì 21 dicembre 2011

Brontolata - usiamo solo il 10% del cervello

C'è una frase fatta che senz'altro vi sarà capitato di sentire, e forse anche di dire: "Usiamo solo il 10% del nostro cervello". Di solito segue l'antifona "Provate a immaginare di cosa saremmo capaci se lo usassimo al 100%!"
E via a immaginare telecinesi, telepatia, poteri fenomenali come curare con la mente, e altre amenità.
Già che siamo in tema di usare il cervello: chissà se almeno il 10% delle persone che ripete a pappagallo questa frase si chiede chi l'abbia detta per primo, come sia stato scoperto questo fatto, o semplicemente se esso sia vero o no!
Ma la vera domanda è: che senso ha?
Che importa parlare di quantità in un campo dove la cosa veramente importante è la qualita?
Si potrebbe trasportare questo modo di vedere in varie altre situazioni!
Quando guidate una macchina, la usate soltanto al 33%: di tre pedali che avete a disposizione, non ne usate mai più di uno alla volta! Pensate se potessimo premerli tutti e tre assieme: magari la macchina si metterebbe a volare, o addirittura si teletrasporterebbe a destinazione!
E guardiamo un pianista mentre suona: usa un magro 5% del pianoforte, perchè di 88 tasti non ne preme in genere che quattro o cinque contemporaneamente! Pensate invece che melodie fantastiche ne uscirebbero se il musicista potesse premere l'intera tastiera contemporaneamente!
Insomma, non importa QUANTO cervello usiamo, ma COME lo usiamo: e ciò vale anche quando ripetiamo frasi fatte senza preoccuparci se siano vere o meno.

giovedì 1 dicembre 2011

I pasti del serpente (compimento e rottura)

Agli occhi del pensiero simbolico il numero dodici è un cerchio.

Ma ogni cerchio è anche un movimento circolare; e quindi il dodici è anche la chiusura di un ciclo di tempo, il compimento di un periodo.


Il dodici è la stabilità raggiunta, un sistema che trova il suo equilibrio completo. Ma il raggiungimento di tale equilibrio comporta una rottura dello stesso: il tredici allora è il frutto maturo che si spacca cadendo, per lasciare i semi che conteneva alla terra. Il tredici non è un aumento rispetto al dodici, ma il suo stadio successivo, ch'è piuttosto una perdita, una rottura del cerchio ch'era il dodici.Dovete sapere che se Dio creò il pianeta Terra come una sfera è per contenervi il serpente, una cella di prigione dalla quale è impossibile evadere, simile ad una bolla di vetro.



Anche nella storia dell'umanità vale lo stesso principio: quando il dodici è raggiunto c’è un periodo di calma, e pace, che però è anche l’attesa d’una catastrofe.
La catastrofe è il risveglio del serpente: spinto dalla fame trascende la sfera in cui riposa incatenato, e salirebbe sulla superfice, se Dio non gli desse in pasto sufficiente sangue umano; allora il serpente si sazia, lo coglie la sonnolenza della digestione e se ne torna a dormire per un po’.
Ogni giro che una lancetta dell'orologio conclude è una goccia che disseta il serpente; sommate tutte assieme esse compongono il fiume chiamato Tempo, ma esso non è che un piccolo bicchier d'acqua se confrontato con la sete dell'immonda serpe.
Nella Bibbia i dodici figli di Giacobbe simboleggiano proprio uno di questi limiti storici: i dodici figli sono dodici tribù, dodici guardiani che sorvegliano in circolo il temibile serpente. Ma il cerchio venne spezzato, Giuseppe venne venduto dai suoi fratelli: ciò diede una via di fuga al serpente, uno spiraglio nel cerchio, che culminò nel sontuoso banchetto divino dello sterminio dei primogeniti in Egitto.
Badate però che il risveglio della fame del serpente e la rottura del cerchio non sono due cose distinte; non è l'una a causare l'altra, o viceversa, ma sono due manifestazioni del medesimo simbolo.
Nel nuovo testamento possiamo vedere come il figlio di Dio si fosse scelto dodici apostoli, dodici guardie del corpo per creare un circolo di difesa attorno alla sua Persona; fu il tradimento di uno d'essi a consegnare il Suo Sangue al serpente.
E' un mistero carico di crudeltà divina: era necessario che il sangue dell'agnello tingesse di rosso la terra, era un ordine dello stesso Dio di consegnare alla morte suo figlio, eppure colui che portò a termine tale comando si coprì del Sommo Male, e guadagnò per sè la suprema condanna e punizione.
La storia segue un modello eterno, che ritroviamo esposto nell'Apocalisse di Giovanni, nella storia della Donna vestita di Sole.
Anche la Gerusalemme celeste ha dodici porte: sarà veramente eterna la città di Dio, o conoscerà anch'ella la fine del ciclo, il tredici del serpente?
Passando dalla storia divina a quella umana, un triste esempio di risveglio del serpente fu lo scoppio dell'epidemia di peste nera che colpì l'Europa medievale.
Dio non aveva ancora insegnato la medicina agli uomini, ma aveva fatto loro conoscere dodici diverse preghiere per tenere distanti dalle terre cristiane le malattie ed i malori.
La prima preghiera veniva recitata ogni giorno, all'alba, nella vecchia chiesa di Gotenborg; la seconda l’ora successiva nella cattedrale di S. Pietro a Riga, e via così a distanza d’un ora; la terza in una piccola cappella privata a Minsk, la quarta in un monastero di Kiev, la quinta nella chiesa che sorgeva sul sito dove poi fu costruita la chiesa nera di Brazov; la sesta in una piccola chiesetta, ora distrutta, a Tirana, la settima nella chiesa del San Salvatore a Enna; l’ottava a Sassari, dove veniva recitata nel soggiorno della casa della famiglia più influente della città; la nona nella chiesa di Santa Eulalia a Palma di Maiorca, che fu costruita appositamente, col cantiere che si avvolgeva attorno al gruppo di preghiera; la nona a Bordeaux nella cattedrale di S.Andrea; la decima veniva recitata davanti ad un capitello all’incrocio fra strade campestri nei dintorni di Le Havre, l’undicesima nella cattedrale di Norwich e la dodicesima a Londra nella chiesa di San Bartolomeo il grande.
Il vergognoso scisma causato dal veleno con cui Lutero accecò l’Europa fu soltanto l’esito finale d’una serie di incrinature che da tempo insidiavano il mondo occidentale; e fu tramite una di queste incrinature che questo sistema di protezione medico-religiosa venne meno. La chiesa di Brazov venne infatti distrutta dalle incursioni degli invasori mongoli nel 1242. Bastò che una delle dodici stazioni di preghiera venisse meno per lasciare al morbo nero libero ingresso nelle terre cristiane: era il tredicesimo secolo.
La chiesa di Brasov fu poi ricostruita con pietra nera, proprio per commemorare questo triste evento.
Un altro esempio ancora ci viene dalla rivoluzione francese. L'aristocrazia malata e decadente era ciò che restava d'un enorme circolo nazionale volto a mantenere l'equilibrio e l'ordine stabilito; ancora nel 1798 erano in carica sette Conti segreti e cinque Marchesi magici impegnati con la loro anima a mantenere in vita il puzzolente cadavere d'un regno ormai anacronistico.
Fu con la morte del Duca di Nemours che tale sorpassata protezione venne meno, e si ebbe finalmente il via libera per lavare e purificare nel sangue il vecchio regno malato - con gran gioia dell'affamato serpente.
Non è sempre agevole trovare la traccia della rottura del dodici dietro gli orridi banchetti del serpente; ma il ricercatore attento saprà trovarla dietro ogni grande massacro della storia, dalle guerre mondiali alle catastrofi naturali, dagli eccidi etnici agli incidenti lavorativi, come i crolli delle miniere.
L'occidente europeo vive attualmente in uno dei periodi di stabilità, se stabilità si può chiamare l'affannosa lotta per tenere nelle ipocrite profondità della terra il malvagio appetito del rettile.
Dodici stelle d'oro in campo blu proteggono Europa; ma quando una d'esse cadrà dal cielo come una stella cadente, si aprirà nel cerchio uno spiraglio, e il serpente antico potrà entrare e far scempio delle vite degli uomini fino ad esser ebbro del loro sangue - come una volpe che trovi un pertugio d'ingresso nel recinto d'un pollaio.

martedì 22 novembre 2011

martedì 8 novembre 2011

Divisioni

Erede al trono, china la fronte al suolo, spazza con i capelli lunghi e d'oro la terra dove passeggia ignaro l'ultimo dei tuoi schiavi, come se fosse una maestà divina quella celata dalle sue vesti logore.
Guardalo in volto: è preda di superbia, e accetta con lo sdegno l'omaggio che gli porgi. Non conta la corona, o la ricchezza; hai perso ogni potere con l'inchino.
Il volgo non comprende la carità crisitana; alzati in piedi, ora, e sfodera la spada. Fallo fuggir distante, fallo tremar con ordini efferati: la gente non desidera un umile regnante.

lunedì 18 aprile 2011

Un uovo della tempesta

Un uovo della tempesta,
custodito presso l’Imperial Regio Museo di Soleschiano. Oltre a questo ne rimane solamente un altro esemplare, posseduto dal Deposito Museale dell’Accademia di Scienze Nere di Stoccolma.
Son passati secoli dall’ultima volta in cui un uovo della tempesta è stato usato, e i suoi effetti non sono scientificsmente certi: il ricordo si avvolge nel manto della leggenda. Si dice che inseminando una nuvola con uno di essi si provochi una tempesta furiosa, capace di sradicare con neri venti di pioggia anche le querce secolari; due di essi usati sulla stessa nube provocano un’alluvione, e tre bastano per cancellare dalle mappe una nazione. Secondo alcuni al Creatore, per scatenare il diluvio universale, bastarono soltanto sei di queste tremende sfere.
E’ andata persa, grazie a Dio, l’arte di costruirli. Non è nota la particolare composizione chimica del vetro con cui veniva soffiata la bolla, nè lo stretto regime di temperature a cui occorre mantenerla.
Il vetro veniva soffiato a bocca, tramite una canna; secondo una tradizione il soffiatore doveva essere un bambino di non più d’otto anni. Poco prima della lavorazione il bimbo doveva respirare da un braciere i fumi della Digitalis lutea a pieni polmoni.
La diabolica e perversa arte dei creatori di uova stava nel calibrare finemente l’intossicazione, di modo che il soffio con cui il bimbo gonfiava la sfera fosse l’ultimo suo respiro – esalando l’ultimo fumo il bimbo rendeva la vita.
Nell’istante stesso della morte i fumi, prigionieri del vetro, collassavano formando i nastri neri serpentiformi, simili a fulmini di velluto nero che nuotano nel più scuro liquido blu cristallino.

martedì 12 aprile 2011

Una Rosa

Il poeta passeggiava con un amico per un sentiero che tagliava a mezzacosta la montagna, cingendo i pascoli appena al di sopra del limite del bosco.
Giunto nei pressi d'un rudere di una vecchia stalla, si bloccò come impietrito, rapito in estasi; ma il suo sguardo era dolce e presente: guardava una rosa damascena con commozione e languore. Il suo amico iniziò a declamare versi, sia antichi che di sua invenzione, in onore della rosa selvatica; ma il poeta lo interruppe, quasi nemmeno lo stesse ascoltando, e annunciò felice che avrebbe sposato la rosa.

Il matrimonio del poeta e della rosa fu arrangiato per quella sera stessa: vi presero parte i pochi, veri amici del poeta e molti curiosi del villaggio e dei villaggi vicini; in rappresentanza della famiglia della sposa molti fiori furono portati dai campi ad ornare sontuosamente il fienile in cui si svolgeva la festa.
Il poeta rise e bevette molto, cantò canti d'amore e danzò con la sua rosa: tutti si rallegravano con lui di questo scherzo gioioso ed originale, e le donne invidiavano la rosa che aveva un marito che conosceva cos' bene l'amore.
Ma col proseguire della serata, quando i primi ospiti iniziavano a prendere congedo, già si poteva scorgere un velo di malinconia dietro il bel sorriso del poeta.
E i pochi amici che gli restarono vicino fino a notte tarda raccontano di come egli abbia pianto disperatamente fino al mattino, stringendo fra le mani una rosa avvizzita.

martedì 5 aprile 2011

"Privacy" - dietro la maschera dell'intimità


1. Una delle correnti psichiche che in questi anni soffiano sulle braci delle nostre preoccupazioni ed angosce è la questione della privacy.

Il termine si traduce, negli effetti pratici, in un'acuita, se non eccessiva, sensibilità all'intromissione altrui nella propria vita riservata. Ne è derivato un intrigo normativo con la funzione di tutelare (o meglio, di rassicurare) i segreti della vita intima di ognuno dai tanto temuti quanto indefiniti occhi indiscreti altrui. E' solo in apparenza un paradosso che da queste leggi protettive sia di fatto derivato un ulteriore aggravarsi della paura di veder violata la propria "privacy", fino a raggiungere livelli di paranoia patologici.

E' evidente che nella 'privacy' di tutti noi è contenuto un segreto così sordido da farci tremare all'idea che qualcuno ne venga a conoscenza.


Cosa può esserci di tanto fuori dalla norma e dalla morale comune nascosto nel cuore dell'uomo qualunque? Che genere di mostruosi segreti può nascondere una casalinga di mezz'età, o un giovane avvocato, un falegname prossimo alla pensione o un studente al primo anno di università?

Forse qualche amore infedele, un sentimento di ribellione, qualche imbroglio, o un attimo di bassezza dello spirito culminato in un atto di cui vergognarsi: banalità, banalità, nient'altro che banalità.

Abbiamo paura che qualcuno venga ad indagare nella nostra vita nascosta: ma poi, chi verrebbe ad indagare nei nostri piccoli e noiosi segreti? A che scopo impicciarsi nei nostri oscuri affari da poco conto?

Forse abbiamo paura che qualcuno scopra che anche nel nostro intimo siamo così banali? Che nel Sancta Sanctorum dei nostri segreti non c'è custodito che del ciarpame da quattro soldi? Lo nascondiamo agli altri o lo nascondiamo a noi stessi?



2. -OMISSIS-


3. Spesso si giustifica la rivendicazione della 'privacy' con la tematica del controllo: il governo, o le grandi ditte multinazionali, o qualche altra entità vista come malevola controlla infatti molto meglio una popolazione se la conosce, se è in possesso di molti dati dettagliati riguardo i singoli individui.
Ma conoscere il singolo individuo sarebbe una precauzione inutile: è molto più semplice ed efficiente conoscere il comportamento della massa, del popolo nella sua interezza.
La volontà della massa è molto, molto più malleabile dalle parole e dalle immagini rispetto a quella d'un individuo. 






Oltretutto esser conosciuti non ci mette in potere di chi ci conosce, vale anzi l'opposto. Conosciamo tutto della vita dei re, dei capi di governo e di chi ci comanda: ma non per questo possiamo alcunché contro di loro. E' proprio tramite il fatto che noi li conosciamo che loro possono comandarci (ciò a patto di non indugiare in quel genere di fantasie che vede dietro ogni evento della storia un potere occulto, celato dietro le quinte).
Di contro, si pensi al cittadino anonimo d'una delle tante città dell'Impero: pochi lo conoscono o sanno chi sia, ma non per questo ha più libertà d'azione. Anzi, proprio per questo conta ben poco nei giochi del potere.

martedì 29 marzo 2011

Uno e Molti (arte dell'intrecciare)

L'anello di una catena è chiuso, e rigido; di contro, la catena formata da questi anelli è aperta alle estremità, ed è flessibile.

lunedì 21 marzo 2011

Quando cogliemmo la rugiada secca

Dormivo nella mia grotta, sul mio giaciglio, quando la notte fu spenta da una luce non d'uomo: in essa nove messaggeri, danze lineari e distaccate.
Mentre danzavano, accadde che la luce, e il calore in essa, bruciò tutto ciò che di organico nella grotta vi fosse, e calcinò tutto ciò che organico non era.

Si avvinghiarono attorno al mio scheletro, avvolgendomi senza quasi più distinzione, e mi trascinarono verso cieli di spirito. Come rugiada al sole evaporarono i loro vestiti e, con l'aumentar dell'altezza, la loro pelle, gli organi e persino il loro soffio vennero al nulla.

Il mio resto fu allora condotto alla Sorgente, ed essa non parlò a me, ma continuò il suo canto, ch'è eterno, immutabile eppur sempre diverso, fluente dal silenzio al silenzio.

Il divenire
Quando il mio spirito si arrese al vibrare della sorgente, vidi l'immagine di un uomo, con una sfera d'avorio nella mano destra, ed una d'ebano nella sinistra.

Azione-reazione; causa-effetto
Così mi parlò: "Quando l'Essere venne a sè stesso, creò nell'abbandono il Non Essere; ogni azione infatti è cambiamento, e se ogni cambiamento è un moto, pure non v'è moto senza conseguenza; ecco, ciò che chiamate esistenza è questo mistero.

Tempo, e sua direzione; entropia; movimento
Quando lo spettro dell'uomo ebbe allontanato fra loro le sfere (e parve ai miei occhi che nel farlo anche lui venisse diviso) potei vedere un serpente librarsi nell'aria, passando da una sfera all'altra; e nel farlo contaminava la sfera candida con gocce di quella oscura, come se il suo corpo immondo ne trascinasse l'essenza; altrettanto faceva della sfera nera, striandola di un bianco neve.
Mai però le sfere divenivano uguali: piuttosto si cristallizzavano in vortici sempre più minuti, come una curva che rasenta un limite senza mai toccarlo.
Cercai di afferrare per la testa il serpente, ma questi divenne fuoco: e la cicatrice che la mia mano porta ne è segno e memoria.

Una voce dunque mi disse: la divisione dell'uno permette il mutamento, e il tempo in esso, ma ricorda: "Quando Dio trasse dall'oscurità le stelle, egli vide che le stelle si dispersero in cerchi d'infinite sfere attorno a lui: ma sembrò alle stelle che il corpo di Dio si smembrasse, e che ognuna di esse ne ricevesse una parte. Per evitare ciò il serpente inquina le sfere; e solo il serpente sa se mai queste torneranno ad esser una".

Energia
Non so per quanto tempo rimasi ad osservare la danza del serpente: nella mia mente non c'era pensiero, l'intera mia mente era vista. E quando in questa venne a scavarsi il solco del suo cammino, lo vidi liberarsi della sua pelle, ed apparire come una scia di scintille; continuamente andavano disperdendosi, ma nessuna di esse svaniva . e pur mescolandosi alla divisione, la loro luce complessiva rimaneva sempre costante: "E', Era, Sarà".

Materia e massa
La pelle del serpente intanto era diventata simile ad un uovo, oscuro e opaco. E benchè l'uovo fosse consustanziale alle scintille (la sua oscurità era infatti un concentrarsi, un collassare di luce), in esso era rappresentato il mantenimento, laddove il brillare di fiamme era cambiamento. Perciò venne dato all'uovo un nome di Madre.

Forze e campi
Questi erano i regni dei Tetrarchi, ai quali fu dato il potere di legare, e di sciogliere.
I loro regni si sovrappongono, eppur sono distinti i loro poteri; promanano forza come una sorgente, e nella distanza si affievolisce il loro vigore.


Temperatura; struttura della materia
Grande fu la mia sorpresa quando la mia mano raccolse l'uovo, chè l'avevo stimato freddo di movimenti; e invece tutto in lui era danza, vibrazione, dall'Eterno Enorme al Momento Minuscolo.
Di nuovo e sempre, "Esistenza è Mutamento".

Chimica
Ma quell'incendio per noi ciechi è una foresta ghiacciata; ed è in quei ghiacci che fu intagliata la città-reticolo di Khem. E col passare dei secoli, nelle sue torre presero dimora i Vermi dello Spirito.

"Leggi" o le immagini che così chiamiamo
Per ore, giorni e anni la sorgente si agitò, in infinite ricombinazioni di quanto avevo già visto.
Conobbi così molti misteri, le fragili leggi che comandano il mondo della mescolanza.

Conclusione
Eppure, più si ramificavano i riflessi della sorgente, più distante mi trascinavano dalla Radice, che io cercavo.
Nella stoltezza dell'ira, nella voracità prosciugai la sorgente d'un sorso.

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Ecco, il doppio nodo, il Nous nella materia. Attraverso infiniti messaggeri (ed ogni messaggero era uno strato di degrado) mi venne detto:
"Ciò che hai visto finora sono i miei spettri che la Natura ha accolto in sè.
Dal mio soffio venne velata, e a me il velo ritorna, e quel velo è conoscenza: integrazione del Sè e dell'Altro. La Natura Vergine è infatti simile all'umano verbo "Essere" - se non viene legata da limitazioni è inconoscibile.
Fui io a gettare il seme della divisione, detto "L'Inizio"; eppure anch'io sono divisione.
Fui io a modellare le immagini che hai visto fin'ora, eppure da esse son nato.
Va', e aggioga queste astrazioni alla Vita: essa sola regna infatti il vostro mondo"

venerdì 18 marzo 2011

Sulla questione delle "Nuove anime"

Molti si chiedono se col nascere di un nuovo corpo nasca una nuova anima, o se in esso venga a dimorare un'anima preesistente; e ancora se quest'unione si consumi al comcepimento o al momento del primo respiro. Si consideri il seguente:
Ciò che noi chiamiamo "seme" di un fiore è in realtà suo figlio, un piccolo feto racchiuso; piuttosto il nome "seme" spetterebbe al polline. Tuttavia il seme di una pianta è fonte di vita nel grembo della nostra madre Terra: in essa è portatore di calore nel buio, luce nel freddo, ingravidatore, contagio di vita nella materia morta.

Bandiere

La verità è come una bandiera: la si ostenta senza sapere ch'essa si piega ad ogni vento.

martedì 15 marzo 2011

L'igiene come mania nella società

Ci sono, nella particolare congiunzione spirituale che si è venuta a formare da una decina d'anni a questa parte, delle tendenze all'inasprimento delle norme sanitarie, in particolar modo negli esercizi pubblici, accompagnate da un'insistenza sull'igiene personale inculcata da educazione e pubblicità commerciali. Non indagheremo sull'ipotesi che vi siano o meno interessi di tipo economico-politico sottostanti: se anche vi fossero resta il fatto che si può imporre qualcosa alla massa solo se in essa c'è un elemento preesistente pronto a ricevere tali imposizioni.
E davvero la mania dell'eccesso di igiene non è un elemento nuovo: nasce dall'effettivo bisogno istintivo di preservare la salute evitando possibili situazioni di contagio. Ma la troviamo, velata, anche nella storia dei popoli: nelle religioni della purezza rituale. Ricorderemo l'ebraismo, con il suo enorme numero di norme igieniche - sia mateiali che spirituali; le abluzioni dei riti dell'Islam; le purificazioni delle dottrine orientali; il battesimo cristiano.
Si potrebbero tracciare numerosi paralleli:
- fra le abluzioni prima di entrare in un tempio e l'igiene personale
- fra il tempio e il proprio corpo
- si potrebbe considerare l'igiene come il mantenimento di uno stato di isolamento, una chiusura dal mondo esterno, in cui la "sporcizia" simboleggia l'influenza del mondo esterno sulla nostra psiche- similmente si potrebbe guardare all'igiene come ad una proiezionei sul piano materiale (un esternazione, e quindi un allontanare da sè) del sentimento di "sporcizia" spirituale.

Si potrebbe andare avanti; ogni similitudine è una prospettiva diversa sul medesimo simbolo.

E' anche interessante sottolineare come vi sia una polarità psichica relativa a questi fatti: ciò che è fortemente sacro spesso confina con l'immondo, e viceversa - si veda come vengono considerati i topi e i porchi nel corso della storia nelle religioni dei vari popoli del Mediterraneo; o si pensi anche al culto del fallo, anch'esso sempre in bilico fra adorazione e ripugnanza; e come il cibo e le bevande sacre possano dare la morte a chi non è preparato a riceverli - dal sangue di bue all'eucaristia cristiana.

Finchè un simbolo è vivo, non è riconoscibile: lo può vedere solo chi è uscito dalla sua inflienza, chi è uscito dal vortice che lo trascinava.
Riguardo l'eccessiva attenzione all'igiene odierna, possiamo dire che psicologicamente è positiva in quanto fornisce una valvola di sfogo ad elementi di insoddisfazione e malessere che altrimenti potrebbero manifestarsi in maniera più distruttiva. Dubito che possano venir facilmente compresi dalla massa i motivi che causano queste manie - dubito anzi che ciò sia persino possibile. Perchè il fenomeno cessi le cause devono cessare, per altri motivi, o manifestare i loro effetti tramite altri canali.
Fino a quel momento la nostra società sarà prigioniera dell'eccesso di igiene, assieme ad altre "manie", disagi proiettati in comportamenti sociali quali la carità, il perbenismo ed altre "genuine" ipocrisie. Stabilire se ciò sia bene o male è una scelta delicata, e forse stolta.
Nei risvolti fisici invece l'eccesso di igiene non può che essere negativo: simile negli effetti ad una madre troppo premurosa che soffoca la volontà di un figlio, imprigionandolo nell'infanzia; renderà debole il corpo, incapace di affrontare ogni benchè minimo avversità.

venerdì 11 marzo 2011

Eredità

Fioriscon sulle tombe
dei soldati i gigli.

Gramigna

Furono ritrovare, in una miniera della Siberia orientale, le ossa di un demone dei tempi antichi.
Fu subito fatto portare nelle terre del tramonto e, con le arti di quel luogo, fu lì ridato alla luce (e non è difficile, per un demone, ridestarsi alla vita).
Fu così che crebbe, e devastò quei regni, prima di tornare a esser uno scheletro nella terra.

martedì 8 marzo 2011

Eresia del ritorno

Un bestemiatore annunciava nelle nostre piazze che il soffio che diede vita all'uomo era tutt'uno con la luce della distruzione, di cui parlano i nostri libri della fine.
Fu messo al rogo in quelle stesse piazze, sullo stesso fuoco che cuoce il nostro pane.

Ciò che rimane

Gli eroi diventan lapidi
ed i soldati terra.

venerdì 4 marzo 2011

Pomeriggio di maggio



Un vecchio soldato dell'Impero si riposa durante una pausa fra una battaglia e l'altra

Leggi e dimensioni

All'aumentare di dimensioni di un sistema aumenta la rigidità delle regole che lo disciplinano.

martedì 1 marzo 2011

La "storia" personale - predestinazione e predisposizione

Sembra esserci a livello inconscio, in ogni uomo, un'idea di sè stessi, che condiziona la vita e le scelte dell'individuo.
Può esserci, per esempio, colui che ha un'immagine di sè come di un uomo giusto, ma che viene tradito dagli altri: egli accrescerà a dismisura, a livello di percezione interna, ogni minimo screzio con gli altri, chiudendo gli occhi sule proprie responsabilità e sui propri errori - ciò, si badi bene, sempre non coscientemente.
Oppure ancora vi potrebbe essere colui che ha l'immagine di sè come di un uomo che viene abbandonato da tutti: costui sorvolerà, quasi non se ne accorgesse, sulle amicizie e sulle manifestazioni di affetto nei suoi confronti, ed eleverà piuttosto ad emblema ogni caso che gli fornisca un pretesto per confermare le sue idee; ciò sempre nella buona fede della coscienza.
Dunque questa immagine agisce da filtro, se non da distorsione, nel passaggio fra mondo esterno e psiche; ma anche come condizionamento all'interno: come una spinta inconscia a compiere azioni che in superfice sono mirate ad uno scopo, ma che "incidentalmente" portano poi ad una situazione confacente alla predisposizione.
E' normale, ed in un certo senso persino giusto, che una simile coazione venga vissuta come forza esterna: sfortuna, destino, karma, provvidenza, volontà divina, daimon...
C'è da dire inoltre che, trovandosi esterna alla coscienza, essa ha un influsso maggiore sulle persone meno "differenziate", meno distaccate dal mondo inconscio, con un'individualità meno sviluppata; viceversa, sarà minore nelle persone più autocoscienti -tenendo sempre presente tuttavia i casi in cui la differenziazione è in realtà uno sviluppo "forzato" e in cui l'inconscio, invece di essere integrato alla coscienza, fa da contraltare compensatorio, agendo come contro-forza rispetto alla coscienza: in tal caso la forza dell'immagine sarà maggiore.
Anche per questo l'immagine di sè traspare più potentenmente nella psiche degli anziani, di coloro che intraprendono il "viaggio del ritorno" dopo aver raggiunto l'apice della propria vita.
Sull'origine e il formarsi di tali immagini posso solo fare ipotesi - la causa principale pare trovarsi in esperienze infantili vissute molto profondamente, le quali lasciano un segno sugli anni futuri, un'incisione accentuata dall'abitudine.
Tale cicatrice formerà così una predisposizione associativa che interpreta e si sovrappone al mondo esterno: si può definire quindi una sorta di controparte individuale di ciò che gli archetipi junghiani sono nell'inconscio collettivo.

martedì 22 febbraio 2011

Alcune considerazioni sulla razionalità

Nella parola "razionalità" è implicito il ferimento ad un confronto fra almeno due entità.
Per questo uno "scopo ultimo" non può essere razionale: perchè uno scopo lo è solo se è utile ad un altro fine - se è un mezzo per qualcos'altro. Il fine della catena è dunque, per forza, irrazionale.

L'uomo ha un sostrato biologico; per questo non è possibile applicare logiche ferree e razionalistiche al suo agire ed essere. Anche da questo viene il fallire di sistemi sociali utopici e/o totalitari.

Tutto ciò che esiste, per lo meno in campo biologico, psicologico e sociologico, ha un suo fine, una sua motivazione - e questo non per un finalismo innato ma, se non altro, per una selezione di stampo darwiniano operata nel tempo: ciò che non svolge un compito, e ciò che non raggiunge uno scopo, viene nei secoli eliminato in quanto spreco di risorse.
Perciò è pericoloso eliminare elementi solo in vase a ragionamenti o sequenze logiche: c'è spesso, per non dir sempre, un'utilità nascosta. Un ottimo esempio è la sopressione prematura di 'superstizioni', religioni e credenze da parte di una mentalità illuministica: ne abbiamo avuto in cambio la nevrosi dell'uomo moderno, e forse anche la sua perdita di direzione e di senso.
Infatti non si possono forzare simili cessazioni: al massimo si può rischiare di trasferire gli elementi sopressi in altre manifestazioni.

venerdì 18 febbraio 2011

Il gufo




"Da quando muore un re non passano tre giorni e già la sua bandiera è gettata nel letame e si prega con mille moine le donne affinchè tessano un nuovo stendardo per il regno così che il popolo non resti senza guida affongando come topi nel fiume"


Jäger

Saliva sulle cime per guardar altre montagne

martedì 15 febbraio 2011

L'oro blu

Vidi un fiume bagnato dalla luce dell'Ora Blu - immerse nell'acqua di zaffiro miriadi di stelle portate dalla  corrente; in ogni stella un colore, ed una danza, e il fiume. Ogni stella cantava a sè la propria vita, e nel fiume si sommava, in un canto orribile, sublime.
Dove sfocia la tua marcia, in che si getta la tua vita, fiume?
La mia vista non vede oltre quell'ansa, e indietro non è lecito voltarsi.

Atropo (l'angelo della morte)

Atropo l'angelo della morte

venerdì 11 febbraio 2011

In cerca d'un oasi

"Perchè Dio non ascolta le nostre preghiere?"
Forse è soltanto stufo, annoiato: analizzate le vostre preghiere!

Esse si compongono di lagne, se non di rimproveri velati:
Dio, perchè hai fatto morire quel tale? Dio, fa cessare la siccità! Dio, sono infelice (di ciò che mi hai dato)...

Oppure son elenchi di vostri desideri, di favori di poco conto chiesti al Dio vivente, simili ad una lista della spesa: Signore, dammi la forza, dammi la saggezza, mostrami la retta via (se mi perderò sarà quindi colpa tua), dammi questo, dammi quest'altro...

In cambio lo si loda con blandizie e sfoggi di sottomissione che non sedurrebbero il più avido di complimenti dei tiranni: Sei forte, sei potente, tua è la gloria... sempre, beninteso, se mi accordi i favori che ti ho chiesto.
"Preghiera" è addirittura diventato, nel linguaggio corrente, sinonimo di "richiesta un po' scocciante di favori"!

Possibile che non ci sia un poeta capace di comporre preghiere che non siano così meschine, noiose, così miseramente umane?
Allora forse Dio tornerebbe ad ascoltare la voce dell'Uomo che lo chiama.

martedì 8 febbraio 2011

Sul voler diventar divini

E' desiderio di asceti e mistici l'esser tutt'uno con Dio, divenir Dio essi stessi; e davvero non è difficile, chè basta abbandonare tutto ciò che di umano si ha.
Eppure la tendenza di un albero è di salire verso il cielo; ma il seme di quell'albero deve cadere per fruttificare.
Che si direbbe di un seme che non vuole abbandonare il frutto, o di uno che vuole ritornare verso il cielo, rifiutando la terra?
Per cadere furono creati, per gettar radici nella sporca terra. E allora dal loro germoglio sorgerà un nuovo albero.

venerdì 4 febbraio 2011

Due mani e un gesto

V'era un tempo in cui lo spirito camminava sulle vaste pianure della terra; fu in quel tempo che nacque e vide la luce un consacrato, e grande era lo splendore in quel fanciullo; prodigi annunciarono la sua venuta, pastori e greggi si prostrarono ai suoi piedi.
Venne dunque dall'Idumea un artigiano, il cui nome non arrivò mai a noi: v'è chi dice che fosse Edom in persona, Re bandito nel suo stesso Regno.
E stentò un inchino l'artista dinnanzi al fanciullo; e a malapena trattenne il sorriso quando il bambino s'accigliò malevolmente; ma questi trattenne le guardie dal percuotere lo straniero, e disse: "Di certo il tuo sguardo non è così vasto da ammettere l'immensità su cui s'affaccia; eppure anche per distruggere il vostro sguardo venni, e per donarvene uno nuovo, d'Abisso".
Davvero l'artigiano non capì le parole del figlio divino; sembrava soltanto intento a chinar la testa per celare il suo scherno. Disse infine: "Non distruggere il mio sguardo, giovane padrone. Ecco: ti ho portato dalle mie terre un dono". E mentre tagliava il silenzio con quelle parole, estrasse dalla sua sacca una statua, d'argilla, e un pennello, e dell'inchiostro.
Non avrebbe reso che pochi danari, al mercato, quel lavoro: era plasmato da mani inesperte, e crepe su di esso rivelavano un fuoco troppo violento nel forno del suo paese. E nonostante sul volto dell'artigiano vi fossero i segni della saggezza, con il pennello non fece altro che tracciare una lettera, Shin,

sulla fronte del feticcio; e una goccia che colava sembrò fatica e sudore, lagrime nere.
Di nuovo si mossero le guardie per scacciare l'uomo: ma se ne andò da solo, mestamente, e sembrò che quel mattino mai nessuno fosse venuto in visita.
Disse infine il bambino all'idolo: "Questa piccola mano che ora stringo in un pugno, questa tenera porzione di tremenda eternità, sarà spada per voi immagini antiche, distruzione di quanto fu già scritto".
Rispose la statua: "Di terra e sangue è il tuo soffio di vipera; sulla terra e sul sangue poggia il tuo trono".
Tuonò il fanciullo! "Infame abominio! Opera stolta! Non vedi la legge nuova che io porto, il fragore della rivoluzione?"
E spiegò la legge nuova fino a sera, e le guardie si prostrarono ai suoi piedi, in meraviglia. Ma sorrise soltanto l'abominio, sorrise soltanto: quelle nuove verità le aveva udite da tempo sulla bocca di infinite albe, infiniti tramonti.
E fu colmo d'ira il cuore del bambino, e in quell'ira traboccante levò il pugno, mandò in frantumi il dono: oracolo dei secoli a venire.
Ma accadde che una scheggia della statua si conficcò sotto l'unghia rosata del principe, e restò lì sino alla sua morte, tormentandolo di dolori, e d'infezioni: oracolo dei secoli venturi.

martedì 1 febbraio 2011

Forze nascoste

I nostri anziani raccontano di come un tempo si credeca che sottoterra vivessero enormi serpenti, simili a vermi ciechi - e dicevano che dai loro sussulti privi d'amore fossero nate le montagne, dai loro scoppi d'ira i laghi.
E sostenevano ch'era proibito adorarli, e stolto pregarli, e inutile.
Ma nelle stalle, nelle veglie d'estate, ancora si possono udire voci bagnate dal vino sussurrare lamenti agli antichi dèi morti.

Volta

Lo scorrere del tempo è causato dalla memoria

10. Il ladro

E' un vento che ruba la sabbia alla clessidra.
.
T'addormenta con carezze - ed al risveglio sei solo.
.
Graffia l'anima e la sgrava di ciò che l'è più caro.

martedì 25 gennaio 2011

Schema del funzionamento dell'invenzione della lampadina ad incandescenza

Dubbio

Quanto forte e terribilie dovrebbe essere un uomo per poter disubbidire ad un Dio onnipotente?
E se la sua disobbedienza non fosse che apparenza, da quel Dio stesso voluta?
Per quanto profonda, apparenza?

mercoledì 19 gennaio 2011

Il progresso (ovvero La scienza dopo il XIX secolo)

Fa divorar dalle radici dell'edera
la penna remigante della vedova del paradiso;
invoca su quel fuoco
il vecchio dio della febbre.

martedì 18 gennaio 2011

Pianto d'uno schiavo che non vuol esser schiavo

Questa società, di cui faccio finta d'esser parte...
di cui faccio parte, perchè ognuno in essa finge...
questa società che disprezza e sputa su tutti, salvo i presenti...
Più la odio e più ne sono invischiato, come un incubo che non dà respiro, ed il risveglio è un incubo peggiore...
E questa furia di combattere, di alzar bandire, di rivoltarsi contro un padrone per cadere nelle mani di un altro, non sono forse i rantoli d'una mosca che, cercando di fuggire alla tela, si consegna al ragno?

giovedì 13 gennaio 2011

Opera Circolare






Scegli una notte senza luna, e recati nel punto più profondo del bosco, il centro in cui nacque l'albero che diede vita a tutti gli altri della foresta.
Fra l'intreccio delle sue radici cresce un fiore giallo luminoso, detto fiore di San Martino.
Recidilo alla base dello stelo con un falcetto in selce.


Getta immediatamente il cadavere del fiore in una tomba di vetro; bagnalo con la Nostra Rugiada e una goccia di sangue del tuo dito anulare, quindi chiudi il sepolcro e sigillalo con la terra.
Scalda per l'intera notte e per l'intero giorno seguente l'ampolla, su fuoco a soffio tenue. Nel vaso resterà soltanto un liquido d'un caldo color giallo; prendi allora il vaso e lascialo ancora chiuso, in un armadio buio e fresco, lontano dai rumori.
Dopo tredici giorni dal liquido coagulato nascerà un verme bianco e cieco. Divorerà la terra che lo ha fatto nascere;

non disturbarlo e dopo un giorno inizierà a tessersi un bozzolo.
Dopo altri tredici giorni dal mistero della seta sorgerà una brillante farfalla color dell'oro. Non aprire la bottiglia, perchè la farfalla è uno spirito che ha in sè tutto il necessario per la propria vita, che pur dura soltanto un giorno. Ella infatti è ciò che chiamiamo il Nostro Magnete.
Andrai quella notte stessa in un campo dalla terra nera ben fertile; accosta lo spirito, ancora chiuso nel vetro, al terreno. La luce intensamente pura della farfalla attirerà a sè i frammenti di luce giacenti nella terra, come un faro guida e richiama le navi perse nel mare durante una bufera notturna, come la nostalgia riporta il


vagabondo alla patria che aveva ormai scordato.





La luce si condenserà nella bottiglia, comprimendosi al punto da formare un piccolo uovo d'oro, delle dimensioni d'un uovo di merlo; essendo in forma stabile potrai maneggiarlo liberamente, spezzando la bottiglia di vetro per estrarlo.
Essendo ora sia la terra che la notte prive di luce, non sussisterà più divisione fra esse. Ti parlerà allora uno spirito nero, una forma di donna nerissima, la sua pelle il buio più assoluto; cercherà, con la paura o con la seduzione, di rubare la luce che ora possiedi contro natura.
Offrile con la mano destra un giglio rosso e bianco, che avrai avuto cura di procurarti; con la mano sinistra trafiggile il cuore con una lancia





d'argento.
Prima che renda il respiro cospargi il suo corpo con l'Aceto, non l'aceto normale, del popolo, ma quello amaro e doloroso dei Saggi. Il corpo della donnasi scioglierò allora in un nero e denso inchiostro; evita assolutamente di toccarlo, perchè è talmente sottile che oltre a tingere indelebilmente la pelle macchia anche senza rimedio l'anima.
Serviti d'un piccolo paiolo in rame per raccogliere una piccola quantità di quella fuliggine liquida





in un calamaio di vetro, dal tappo d'argento; attendi che il sorgere dell'alba faccia svanire la nera melassa, badando che non fugga prima, contamininando i fiumi o portando la morte ai villaggi.
Ogni giorno darai in pasto all'Uovo una goccia del liquido nero. Dapprima ne trarrà giovamento e vigore, aumentando in dimensioni e luminosità; col tempo però si ammalerà come di malinconia, forse di nostalgia. Si farà sempre più piccolo e venato, fino a farsi minuscolo, simile a un piccolo seme di marmo.
Attendi ancora una volta una notte di luna nuova, e recati nel punto più profondo del bosco, il centro in cui nacque l'albero che diede vita a tutti gli


altri della foresta ed affida all'intreccio delle sue radici il seme.
Non vivrai per veder il compimento della propria Opera: il seme rimane in gestazione nella terra del bosco sino a cent'anni prima di risvegliarsi. Ma all'alba di una radiosa primavera dei secoli venturi spunterà finalmente il germoglio del fiore di San Martino.









Nota del copista
Lo stolto chiederà forse a che vale intraprendere una fatica che trova la sua conclusione al punto iniziale: "non sarebbe bastato lasciar il fiore lì dov'era, senza strapparlo?".
Eppure si farebbe bene a meditare su questo punto. Perchè la morte e le nascite, e non la vita eterna? Quando il sole compie un giro intorno alla terra, cosè cambiato nel tempo di un giorno? Il cerchio delle stagioni torna costantemente sui suoi passi, ma quanto cambia l'uomo ogni anno?
Nella folle storia del fiore di San Martino il campo viene derubato della luce e finanche dell'oscurità, in favore del padre del bosco; ma passati cent'anni, come son tornati luce ed oscurità ai campi?

martedì 11 gennaio 2011

Maledizione di mezz'età

Ogni male viene dal desiderio
ma il male più grande è la mancanza di desiderio.

venerdì 7 gennaio 2011

Ricamo

La vita è una danza sulla musica della morte.

martedì 4 gennaio 2011

Eden

-"Per quale ragione Dio creò l'esistenza?"
-"Non per una ragione soltanto, ma per tante quanto il numero di ogni anima incarnata che abbia mai respirato"

domenica 2 gennaio 2011

Simboli del rapporto fra i due poli

Fra i segni grafici più immediati e semplici ce ne sono due che ricorrono con naturalezza nei disegni dei bimbi prima e nella struttura dei disegni più complessi poi, che l'uomo traccia quasi istintivamente e che rimangono sottese alla sua visione del mondo come se egli conoscesse ed interpretasse la realtà attraverso esse: il cerchio e la croce.
Graficamente non potrebbero essere più diversi: il cerchio è un segno chiuso, formato da una linea curva senza sovrapposizioni; mentre la croce è aperta e le sue linee rette si sovrappongono formando angoli. Nell'alfabeto uno rappresenta una morbida vocale, mentre l'altra una consonante dura e sprezzante.

Come per ogni segno semplice il loro significato è ampliabile a dismisura; tuttavia in ogni livello simbolico il simbolo mantiene un determinato orientamento coerente, e in ogni livello il significato della coppia rimane simmetrico: nel piano sessuale rappresentano la coppia maschile-femminile, in quello celeste il sole e la luna; la croce è nella matematica il segno della somma e della moltiplicazione, mentre il cerchio rappresenta lo zero. Se la croce è dolore il cerchio è protezione.
Una croce decussata è simbolo di un ostacolo, di interruzione, un incrocio di strade con la scelta che ne consegue; specularmente il cerchio rappresenta un passaggio (come può esserlo un buco in un muro), l'idea stessa di continuità, le mura di una città che ci tengono al sicuro dal pericolo dei viaggi. Nell'iconografia giapponese la croce significa 'No' mentre il cerchio significa 'Si'.





Passeremo qui in particolare fra alcuni di quei simboli in cui questi due segni opposti interagiscono fra loro; in questo modo sarà possibile vedere che fra le varie figure tracciate dell'animo umano il rapporto di somiglianza non è l'unico, ma è possibile tracciare una linea che le accomuna per disposizione simbolica.
Nel disegno dei bambini, così come in molti graffiti rupestri, troviamo la combinazione base dei due segni grafici; è un disegno che ricorre con una frequenza tale da potersi ben considerare il risultato di un'attività associativa innata. Con il tempo si evolve nei primi tentativi di abbozzo del volto e della figura umana; ciò potrebbe suggerirci che ad un livello profondo tali immagini vengono associate a questa semplicissima struttura primordiale.
D'altronde la struttura del cerchio ripartito secondo la quaternità è stata usata praticamente ovunque, dall'architettura alla mistica, dall'arte alla tecnica. In campo religioso ricordiamo la diffusissima struttura del mandala, della cui psicologia e simbologia molto si è occupato Jung.


Una croce celtica a Lindisfarne, Northumberland

Nell'ambito occidentale la croce combinata col cerchio è stata molto usata; la croce celtica è forse l'esempio più conosciuto, ma si trovano molte raffigurazioni simili e parallele in molte declinazioni geografiche e storiche del cristianesimo. 
E proprio nella croce celtica che si prende le mosse dall'equilibrio centrale del mandala, con uno sbilanciamento sul piano verticale: il braccio inferiore della croce si allunga distanziandosi dal terreno ed accentuandone la carica fallica; anche il cerchio si eleva passando da un simbolo materno a
immagine solare.


Riproduzione di una scultura del XV secolo a Châtelleraul (Vienne) tratta dal libro 'Il giardino del Cristo Ferito' di Louis Charbonneau-Lassay.

Non sempre il cerchio ricade nella polarità solare; un esempio tanto diffuso quanto intensamente simbolico è l'associazione fra la rosa e la croce. Storicamente questa è ben precedente agli ordini cosiddetti rosacrociani; l'origine della spinta associativa va ricercata nell'accostamento medievale fra la rosa e la ferita; in particolare dunque la rosa sarebbe l'aspetto glorioso delle ferite subite da Cristo sulla
croce, l'aspetto passivo della sofferenza simboleggiata dallo stesso strumento di tortura e morte.


Particolare di un'incisione che riporterebbe gli ornamenti sulla lapide della tomba del noto alchimista Nicholas Flamel

Tramite il suo contatto con la componente femminile può anche declinarsi nel suo aspetto
oscuro. 
Il serpente sulla croce è un riferimento al serpente di rame innalzato da Mosè nel deserto:
'Allora il Signore mandò fra il popolo serpenti velenosi i quali mordevano la gente e un gran numero d'Israeliti morì. Allora il popolo venne a Mosè e disse: "Abbiamo peccato, perché abbiamo parlato contro il Signore e contro di te; prega il Signore che allontani da noi questi serpenti". Mosè pregò per il popolo. Il Signore disse a Mosè: "Fatti un serpente e mettilo sopra un'asta; chiunque, dopo essere stato morso, lo guarderà resterà in vita". Mosè allora fece un serpente di rame e lo mise sopra l'asta; quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di rame, restava in vita.' (Numeri, 21: 6-9).
Nei vangeli questo simbolo viene ripreso ed ampliato in ottica cristologica:
'E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna'. (Giovanni, 3:14-15)

Tramite questo passo viene a crearsi un parallelo fra il Serpente della Genesi, portatore del peccato,
e Gesù, redentore di esso; ciò anche in forza del parallelo fra l'Albero della Vita e la Croce.
Quest'immagine ha conosciuto un grande successo nell'ambito alchemico, dove il serpente è il
Mercurio, veleno ed antidoto universale al tempo stesso.

Aldilà dei riferimenti biblici la spinta associativa fra serpente e albero è talmente intensa che, anche senza questi, l'immagine del serpente sulla croce sarebbe comunque venuta prima o poi alla luce; anzi si potrebbe quasi dire che il riferimento biblico sia piuttosto una giustificazione a posteriori per dare un senso ufficiale all'immagine che si impose all'immaginazione. Si pensi agli innumerevoli serpenti associati agli alberi cosmici della mitologia: dal mito di Etana al Níðhöggr dell'Yggdrasil, solo per citarne un paio.

Globo dell'Imperatore - Praga 1612-1615
Più il polo femminile tende alla terra e più quello maschile si solarizza.
Usato sin dal quarto secolo dopo Cristo, rappresenta il dominio della Croce, del cristianesimo
A livello politico la croce è identificata con il Re o l'Imperatore, quale reggente di Cristo nel Mondo; la
sfera è quindi quello stesso mondo, il Regno, l'Impero o, per associazione, il suo popolo.

Croce Laureata dell'ordine di San Ferdinando

Monumento ai caduti a Monfalcone (GO)

Il simbolismo fallico può portare la croce a caricarsi di potenza e farsi spada. Il cerchio si fa allora corona d'alloro: immagine di Gloria dietro la quale si nasconde il dolore della morte, l'altro lato taciuto della guerra.





Alla spada corrisponde lo scudo; la spada cerca l'apertura mentre lo scudo si chiude in difesa.
La volontà della spada sta appunto nel saper trovare la propria strada in questa negazione; allora il muro dello scudo si trasformerà in accettazione.


Lo stemma araldico di Giovanna d'Arco

La spada trionfante non reca lo scudo come contraltare, ma la corona come ricompensa della sua volontà.
La spada è infatti potenza, ma il regno è questo potere messo in atto; potremmo dire che una spada è un regno in potenza.
Chi conosce i fondamenti dell'arte dell'amare sa che la volontà maschile sa trovare la
strada nel cerchio impenetrabile, e con una carezza forte ma gentile la mano maschile sa far fiorire i boccioli di rosa più tenacemente racchiusi.
Il cerchio della corona dunque si apre diventando una falce di luna, col dorso verso il basso, in posizione di ricettiva attesa.

Lo stemma araldico della città di Gradisca d'Isonzo (GO)


La luna e la croce, stemma della città di Gradisca d'Isonzo, vengono spesso interpretate come ricordo di una battaglia vittoriosa contro le invasioni turche; tuttavia se è vero che Gradisca fu costruita e fortificata principalmente con tale intento, negli annali della storia tale battaglia non è registrata.
Curiosamente, la luna che per noi è l'insegna dell'Islam non ne è in realtà il simbolo ufficiale: l'associazione deriva in gran parte dalla bandiera dell'impero ottomano ed è storicamente rimasta anche nelle bandiere di altri stati islamici; ma gli osservanti più puri non accettano tale associazione, data l'origine pagana, preislamica di essa. E' quasi come se l'occidente cristiano avesse assegnato al suo nemico, alla sua Ombra il simbolo della luna, come contraltare del suo simbolo della croce.

La croce lunata e altre sue varianti compaiono in molti stemmi araldici.
Szeliga (Polonia)



 Jastrzebiec-Bolesta (Polonia)

Schifferstadt (Stemma civico, Germania)

Narvik (Stemma civico, Norvegia)



Anche il simbolo del Partito Comunista, la falce e martello, è ordinato secondo la stessa disposizione della luna e la croce; rispetto a questo però la falce e martello, conformemente allo spirito dei tempi in cui questo movimento è nato, sono inclinati di 45° verso sinistra, orientandosi così su un piano diagonale che conferisce alla composizione un dinamismo di rottura. Scomponendo il simbolo abbiamo la falce come simbolo dell'agricoltura ed il martello come simbolo dell'artigiano prima e dell'industria poi; anche questo è in fin dei conti confacente alla struttura simbolica, in quanto l'agricoltura è la fase economica necessaria come precedente di quella industriale - la società agricola essendo quindi per così dire la 'madre' in cui la società industriale ha origine.

Il cervo di Sant'Uberto nelle armi della città tedesca di Schaephuysen

Il binomio sole/luna può anche ordinarsi sul piano psicologico nella distinzione fra coscienza ed inconscio, fra differenziato ed animalesco; un ottimo esempio è dato dalla figura del cervo di S.Uberto. 
La leggenda vuole che Uberto vivesse una vita al limite del paganesimo, dedicandosi esclusivamente ai piaceri del mondo ed in particolare alla caccia; il venerdì santo, in cui invece di recarsi in chiesa s'era avventurato in una battuta di caccia, si trovò di fronte un cervo, e in mezzo ai corni di questo brillava un crocefisso di luce: ciò portò alla conversione di Uberto. La leggenda è presa senza sostanziali modifiche da quella di Sant'Eustachio Placido, un generale romano del II secolo, d'animo buono benché pagano, che trovò la conversione nel medesimo modo.
Probabilmente la leggenda ha origini ancora più antiche e precristiane; d'altronde il cervo, per la sua apparenza maestosa, è stato venerato come animale prossimo all'ordine soprannaturale in molte religioni e culture.
Nel cristianesimo il Cervo è simbolo dell'anima, sulla base anche di un passaggio del Salmo 42: 'Come la cerva anela ai rivi, d' acqua, così l' anima mia a Te anela, o mio Dio'. Di certo la forma dei corni, disposta a formare una sorta di coppa, di falce di luna aperta verso l'alto come quelle che abbiamo visto in precedenza, gli conferisce una carica simbologia lunare, femminile; non è un caso che, come Il cervo di Sant'Uberto nelle armi della città tedesca di Schaephuysen nell'illustrazione riportata, il cervo delle leggende dei santi sia spesso bianco come la luna, mentre la luce della croce fra le corna è dorata, solare.
Al cervo corrisponde spesso nell'iconografia l'unicorno, che riceve appunto dal suo unico corno l'aspetto maschile e fallico; la coppia cervo/unicorno rappresenta dunque il binomio anima/spirito o Chiesa/Cristo.

Cervo e Unicorno, dal De lapide Philosophico di Lamsprinck (Musaeum Hermeticum, 1659)



Nell'analisi dell'incontro dei simboli di polarità opposta fin qui affrontata emergono dunque due categorie di rapporti prevalenti: la lotta e conseguente sopraffazione da un lato e l'unione dall'altro (si noti come anche queste due categorie siano una polarità ordinabile sull'asse maschile-Ares e femminile-Eros). 
E' inevitabile, nei simboli di unione, una forte similitudine alla sessualità umana, un allusione che sa farsi particolarmente esplicita in alcuni passaggi, al punto tale che possiamo usare lecitamente le dinamiche sessuali come chiave d'esplorazione simbolica.
Sorge spontanea allora la domanda: l'istinto sessuale nell'uomo condiziona la nostra visione del mondo, ordinando la realtà inconoscibile in categorie plasmate sul modello dei canali dei nostri appetiti?
O è il funzionamento sessuale umano ad essere una delle sfaccettature della rosa di simboli, anch'esso venutosi a formare sullo stesso modello arcaico, per non dire pre-esistente, che ha tessuto il giorno e la notte, il fuoco e l'acqua, il sesso dei fiori, la vita e la morte? 
Personalmente sono propenso ad abbracciare entrambe le ipotesi, per quanto apparentemente contraddittorie; nello studio dei simboli occorre di tanto in tanto lasciar da parte le rigidità della logica.

Fra le varie parti del corpo in cui il simbolismo sessuale si riflette, particolare intensità simbolica risiede nel palmo mano, come lato femminile, e nelle dita come maschile. 
Nemmeno con tutta la razionalità del mondo una donna a cui viene carezzato col dito il palmo di una mano, riuscirà a vederci soltanto il contatto del proprio palmo con il dito di un'altra persona; lo percepirà invece profondamente ed intensamente come un contatto intimo, un affondo della spada in una zona vulnerabile e scoperta o addirittura una violazione.

Un anello nuziale bizantino (VII sec.) in cui Cristo, al centro, unisce la coppia di sposi.

Visto come tale l'anello al dito, che rappresenta il fidanzamento prima e il matrimonio poi, è ben comprensibile.
Si può vederlo come il coronamento della spada che abbiamo visto in precedenza; tuttavia l'anello è parte di una catena, e come tale imprigiona il dito fallico alla promessa che l'anello simboleggia.

Una conchiglia decorata con la croce di Santiago, simbolo del relativo pellegrinaggio

La spada ha dunque aperto la sua strada, mutando il cerchio chiuso in una luna che l'attende; o forse era tutto un gioco del cerchio, che rimaneva chiuso soltanto per accendere di desiderio la spada, così che al momento dell'apertura essa ne venisse attratta con un incantesimo irresistibile, come un'ape su una peonia nel dolce sole di maggio? Fatto sta che una volta che la spada sia entrata nello spazio lunare questo si racchiude attorno ad essa, imprigionandolo come in una trappola; è il dramma della Gnosi, la scintilla di luce imprigionata, persa nel mondo, nella materia, in seguito alla Caduta.
Tuttavia è inverosimile che la Caduta sia stata un errore di Dio, un imprevisto ad Egli sfuggito; quindi anch'essa deve avere una sua importanza nell'economia della creazione - e davvero è un'importanza cardinale.

Lo stemma civico della provincia di Milano

Le scintille di luce infatti non rimangono infatti inerti nel Mondo ma vi esercitano la loro azione fecondatrice, come Seme nella terra Madre. Nello stemma della provincia di Milano è ben visibile, nel simbolismo celeste, l'attimo in cui questo processo sta per culminare: il Sole è infatti completamente racchiuso dalla sua compagna e madre Luna, come in un uovo cosmico; tuttavia già la luce solare
irradia all'esterno del sole, e nell'angolo superiore destro questo guscio d'uovo lunare è pronto a spezzarsi e a liberare il Sole, un Sole nuovo, non quello morente della sera ma quello vittorioso del mattino. Quindi, com'è ovvio, in tale processo non è soltanto il Sole a redimere la Materia, ma accade anche l'inverso: la Luna ringiovanisce il Sole ed il Sole vivifica la Luna. 
Un'immagine molto simile che può ulteriormente ampliare questo rapporto è il filtrare della luce solare nelle profondità dell'acqua. La luce ed il calore del sole rendono possibile l'esistenza della vita nell'acqua che altrimenti sarebbe fredda ed oscura, priva di energia; tuttavia l'acqua protegge la vita che ella ospita dall'eccesso che rappresenterebbe l'esposizione diretta alla violenza della luce solare; la vita è permessa dall'equilibrio fra questi due fattori.

Madonna con bambino su luna (A. Dürer)

Alla nascita del Figlio il cerchio torna ad aprirsi nella falce lunare.
La polarità solare-maschile è qui rappresentata dal Gesù bambino e quella lunare-femminile dalla Madonna e dalla luna. Tuttavia sul piano etico-morale c'è una diversa disposizione: la divisione fra bene (Gesù e Maria) e male (la luna). Se la Madonna è infatti la materia femminile redenta dal Sole, la Luna è l'aspetto ancora non salvato di quella stessa materia; la redenzione della materia avverrà soltanto con la fine del tempo, e coinciderà con essa. 
Parrà azzardato assimilare alla luna il Male; tuttavia tale legame ha le sue basi.
Nelle raffigurazioni legate al dogma dell'Immacolata concezione la luna appare sotto il piede di Maria; ciò deriva in primis da un passo dell'Apocalisse (12:1): 'Nel cielo apparve poi un segno grandioso: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle.'
Tuttavia ciò esercita un richiamo ad un altro passo biblico, in cui Dio lancia la sua maledizione sul serpente per aver causato la caduta di Adamo ed Eva: 'Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno' (Genesi, 3:15).
Quindi Maria, come seconda Eva, porta a compimento questa profezia, e Gesù, la sua stirpe, sarà colui che schiaccerà la testa del serpente, salvando il mondo dal peccato originale che questi
aveva contribuito a causare.
Non è un caso che in molte raffigurazioni attorno alla luna su cui Maria poggia il piede ci sia avvolto un serpente, legando anche qui il serpente della Genesi al drago grande e rosso fuoco dell'Apocalisse (12:3).
Così la composizione si può anche ordinare sui tre piani divino (l'aureola e la parte divina del bambino), umano (la madonna e la parte umana del Cristo) e inferiore (la luna ed il serpente).
Statua dell'immacolata nella chiesa di S. Francesco di Mirandola (MO)






Si può vedere l'espansione di un simbolo nel tempo come un fiore che sboccia; si sarebbe tentati quasi di considerare il suo cammino come un'evoluzione, o un enorme ciclo vitale. Ciò in fondo è corretto ma bisogna rammentare che quest'evoluzione, come quella della vita stessa, non è indirizzata verso un punto, non è una strada univoca ma un ramificarsi, fino ad occupare tutto lo spazio possibile in una costellazione di diversità dove ogni stella è di per sè un punto d'arrivo.