Per ingannar l'attesa fra un post e l'altro

Vi annoiate e non sapete cosa fare fra un aggiornamento e l'altro di questo blog?

Per bon?

No, veramente?

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venerdì 26 febbraio 2010

Storielle Grottesche - 10

Volete che vi parli dell'anello che racchiude la morte alla nascita: vi racconterò due storie.

V'era un uomo, degli Altipiani del Vento, che era stato colpito alla fronte da un proiettile durante una battaglia con gli uomini-bestia dell Est.
Non morì per quel colpo ma, dopo una forte febbre, si accorse di non aver più alcun ricordo della sua vita passata: di contro, conosceva tutto ciò che gli sarebbe avvenuto in futuro.
Non conosceva però la sua morte: chè gli avvenimenti troppo distanti perdevano nitidezza, fino a divenire nebbia insondabile.
Non conosceva la sua morte, nè gli interessava granchè; tuttavia era costantemente ossessionato e spaventato al pensiero della sua nascita.

Ancora più tempo addietro esisteva un medico, dei paesi grigi oltre il mare, che aveva scoperto un modo per rinviare indefinitamente la morte. Contattò le persone più ricche e potenti del suo paese e, dietro enormi compensi, permise loro di ingannare la Fine per molti e molti anni: costruirono un rifugio dorato su un'isola, un paradiso in terra, luminoso e opaco al tempo stesso, come un sorriso falso.
Quando, dopo anni, una coppia dei fortunati nascosti alla Morte ebbe un figlio, il primo a nascere sull'isola, fu chiaro a tutti il vero prezzo ch'era da pagare: il neonato era infatti senz'anima; non era nato vivo, eppure nemmeno era morto. E quando ciò si ripetè con il figlio di un'altra coppia, e quello d'un altra ancora, ognuno ebbe il cuore colmo di lutto e abbandonò l'isola, e si abbandonò alla Morte.

martedì 23 febbraio 2010

Storielle Grottesche - 9

Incontrai, molti anni fa, un contadino; mi disse: "la vacca è un animale ben più nobile del cavallo, perchè essa fa il latte".
Obiettai che anche le cavalle fanno il latte: ma il contadino, sdegnato, si allontanò, spronando la vacca sulla quale era seduto.

venerdì 19 febbraio 2010

Storielle Grottesche - 8

Secoli fa l'Imperatore, credendosi un dio, ordinò che non si movesse vento che non fosse favorevole all'Impero: fu istituito un Ministero del Vento, e grazie ad esso le piogge bagnavano sempre gentili i raccolti, gli inverni erano miti e la grandine si scaricava sulle cime dei monti, li dove non poteva causar rovina, ed il sole splendeva sulla felicità del popolo e sulla gloria del suo Sovrano. Successe però che le isole delle paludi salmastre del Sud, coperte dalla più fitta vegetazione e abitate da gente seclusa, vennero dimenticate: e su esse si accumularono lentamente pesanti e immobili nubi, e mai il vento veniva a sgraviarle in pioggia; passato il tempo d'un anno le isole erano coperte della più scura notte perpetua.

In breve l'intera vegetazione d'un tempo morì; ma al suo posto cresceva un altrettanto rigogliosa selva. Soltanto, i nuovi alberi, fiori pianti e foglie erano tutti, interamente, bianchi, d'un bianco spento simile all'avorio vecchio, e non cresceva verso l'alto, ma seguiva vie contorte di mistero.
Chi non soppravvisse a quella notte infinita fu invece il popolo delle isole: già dalla terza generazione avevano abbandonato l'uso di candele e lumi, giacchè la vista li aveva progresivamente lasciati; Svilupparono invece a tal punto la musica, e in special modo il canto, da farne una sorta di religione: e il migliore fra loro divenne il loro Sacerdote Supremo.

A tal punto divenne divina la sua voce (dissero ad un certo punto che la voce era di Dio, e lui un misero tramite) che i sacerdoti decretarono il popolo non degno d'ascoltarla: e sotto la guida attenta dei sacerdoti ognuno del popolo bruciò col fuoco il proprio udito, che non sentisse più quel canto terribile e meraviglioso che era Dio.

Presto anche i sacerdoti riservarono a se stessi la medesima sorte; e persino il Gran Sacerdote, per ultimo, si tolse l'udito.

Dicono i viaggiatori che, negli ultimi anni, del popolo delle Isole Bianche non restava altro che un branco di sordi in adorazione di un vecchio sordo che lanciava roche grida sgraziate: fu così che quel popolo, privato di tutto, vide la fine, giunto troppo in fondo all'abisso, e troppo vicino a Dio.

Quattrocento anni dopo il Ministero dei Venti venne sciolto, giacchè non era che una vecchia superstizione; e i venti, di nuovo liberi, sparsero e sciolsero le nuvole immani delle paludi salmastre.
La selva bianca non resistette al Sole, ed arse come neve a primavera; ma già fra i pallidi cadaveri verdi germogli crescevano.

mercoledì 17 febbraio 2010

Interemezzo a la Strindberg

Tre giorni fa, tanto per provare, ho deciso di incidere su una pietra uno stemma araldico.
Dopo una breve ricerca trovo il soggetto adatto: un drago trapassato da una lancia.

 

Così mi ci metto, faccio il disegno sul sassetto (che non riesce neanche benissimo) e comincio a incidere (col trapanino che si fa meno fatica!!).
Ma tanto per appesantire il simbolismo, decido di far terimare la parte superiore della lancia con una croce.

Così dopo ben un quarto d'ora di lavoro sfrenato ho finalmente un nuovo amichetto, il draghetto araldico!!

..Ieri sera, sbadatamente, ho dato un colpetto alla pietra che era su un mobile in soggiorno: DISASTRO! La pietra del draghetto alchemico si è rotta!
Ma a ben vedere il drago è rimasto intatto, e l'unica parte che è andata in frantumi è la sommità crociforme della lancia che avevo aggiunto io!



Che il drago si sia ribellato alla croce? E' da notare che ieri era martedì grasso!

Non può essere una coincidenza ma si tratta certo di MAGIA

Storielle Grottesche - 7

Ancora prima delle Guerre Vittoriose esisteva, oltre il mare dell’est, un popolo mite e pacifico – ma i viaggiatori che tornavano da quelle terre spesso dicevano che la loro indole era in realtà più stretta dal timore che non animata da grandezza.

Un giorno accadde che l’intero popolo si radunò per pregare il loro Dio – pregarono per chiedere la fine di ogni sofferenza, di ogni paura, di ogni male.
Che dio potrebbe mai negare una richiesta così intensa?

Fu così che quel popolo ricevette in dono delle larve, simili alle processionarie; e queste iniziarono subito a strisciare sul corpo dei fedeli, tessendo su questo una bava bianca e sottile. La tela veniva stesa per prima su occhi e bocca, poi copriva le orecchie, stringeva le mani e i piedi; si chiudeva alfine attorno al corpo intero, rendendo l’uomo al suo interno simile ad un albero imprigionato dall’inverno.

E durò poco il terrore della gente al vedersi imprigionare in quel modo: chè le larve, bucando la pelle, iniettavano in loro nutrimento mescolato a una sostanza inebriante, che li teneva sospesi in un sogno di gioia senza fine.

Passato il tempo di una generazione, non restò niente di loro.

venerdì 12 febbraio 2010

Storielle Grottesche - 6

Vedete quella tomba mangiata dai rovi?
Vi riposa (un riposo agitato) colui che fu il Primo Cavaliere del Regno.

Era la stella più splendente di una nobile famiglia di guerrieri, votata alla più assoluta fedeltà al regno; già da giovane aveva preso parte alle feroci battaglie dell’Est, distinguendosi per coraggio e spietatezza; Guerra dopo guerra divenne sempre più invincibile, e con una velocità mai vista prima salì le gerarchie, sino a diventare Primo Cavaliere: pareva bastasse il suo nome a far morire i nemici, ed il suo sguardo era un fulmine di volontà di dominio.

Ma in quella che divenne la sua ultima battaglia, avvenne ciò che nessuno si sarebbe mai aspettato.
Accompagnato da un manipolo di soldati scelti della sua coorte, riuscì a compiere una veloce incursione nel palazzo della capitale del  paese nemico del nord, arrivando fino alle stanze del Re di quelle barbare genti.
Il Re non ebbe tempo di levar fiato che già il suo sangue si mescolava a quello della sua famiglia sul pavimento. Ma quando il Cavaliere si avvicinò all’ultimo superstite, l’ultimo nato della casa reale nemica, di appena dodici anni, trasalì: chè il ragazzo era in tutto e per tutto simile a lui da giovane- stessi lineamenti, stessi capelli di fiamma, stesso identico sguardo.

Bastò un  tanto a far vacillare per un istante la volontà assassina del guerriero; Dio sa se per egoismo, o per l’aver pensato che anche i nemici siano uomini!
Ma quel secondo in cui la sua mano rimase sospesa nell’aria gli fu fatale: l’ultimogenito nemico ne approfittò per squarciargli il ventre con un pugnale.

Allora il furore e l’entusiasmo divennero gelo nelle vene dei suo soldati; ed essi vennero paralizzati dal terrore, e lo sgomento a vedere cadere il loro capo fu tale da seppellire ogni virtù guerriera.
Fuggirono, come fuggono i cani da un temporale; restò loro a malapena la dignità di prender con sè il cadavere del Primo Cavaliere.

Ma giunti che furono in patria, alla sconfitta si unirono il disonore e la gloria: era inaudito che il Regno perdesse una battaglia, ed era inaudito che un suo soldato tentennasse di fronte al nemico.

Già l’indomani il Re emise un bando in cui spiegava che l’azione sfortunata non era altro che una bravata del Primo Cavaliere, di cui il Comando era all’oscuro; più tardi ebbe a dire ch’egli forse era un traditore, e che la sua morte era meritata; giunse col tempo a negare persino ch’egli fosse stato un soldato del Regno, e fece uccidere in una notte tutta la famiglia e i soldati più vicini a quel che lui ormai chiamava “spia”.

La gente non si pose troppe problemi per dimenticare; e presto l’ex Primo Cavaliere non fu più nemmeno un ricordo.

martedì 9 febbraio 2010

Storielle Grottesche - 5

Non molti anni fa si tenne, in un teatro della capitale, un concorso per artisti.
Non c’erano limitazioni sulla forma dell’opera da consegnare: fosse una scultura, un ritratto, una canzone o una danza, l’importante era soltanto ch’essa sia dedicata interamente al Regno.

Per tre giorni fu una festa di colori e suoni, di allegria e di gloria per la nazione; la città era invasa dall’euforia, e gente di ogni luogo accorreva per vedere tale spettacolo.
Ma alla sera del terzo giorno giunse un artista del Nord, vestito di stracci, il volto nero di fame e i capelli unti dalla stanchezza; prese una fiaccola, e senza troppa enfasi, appiccò il fuoco al teatro.

Il Teatro, vanto della patria, in un attimo divenne incendio: e nella sera ormai scura era una luce terribile, un faro che sgomentava la folla, imponendogli il silenzio.
E mentre le guardie stavano accorrendo per arrestare l’artista, questi disse: “la mia opera si chiama Speranza: bruciando illumina, e illuminando si spegne”.

Il viandante del Nord fu giustiziato la mattina dopo, nella piazza della capitale: ma il Re non potè fare a meno di dargli il primo premio del concorso.

domenica 7 febbraio 2010

venerdì 5 febbraio 2010

Storielle Grottesche - 4

Un tempo le acque che si trovano in quella che ora viene chiamata “piana dei veleni” non davano, come ora fanno, la morte a chi vi cade: raccontano anzi i nostri vecchi che in esse v’era nascosto una sorte di miracolo, che lavava il corpo e l’anima di tutte le ferite, e i dolori, e le ombre.

Vennero dapprima usate soltanto dalle popolazioni che abitavano lì attorno; poi, con la costruzione delle grandi strade dell’Impero, iniziarono ad accogliere le genti di paesi sempre più distanti, che giungevano attirati dalla certezza della cura.

Sarà stato per il troppo lavoro, o per il diavolo sa cosa, ma pian piano le acque iniziarono a perdere la loro efficacia; alcune malelingue sostenevano che non solo non facessero bene alcuno, ma che anzi dessero un leggero dolore.

Eppure lo stesso continuarono ad esser sempre affollate, da povere persone spinte dalla speranza: continuarono ad esserlo, finchè un giorno un vecchio, immergendosi, trovò in esse la morte.

Fu detto al tempo che nessuna purificazione più grande potesse esservi: ma il cadavere dell’anziano iniziò a marcire a vista d’occhio, e la sua pelle morta si ricoprì di ferite, come se su di lui si fosse scaricato il fardello che era stato tolto a tanti altri; da allora nessuno volle più bagnarsi nelle acque, e chi ora, dei temerari che attraversano la valle, vi cade per sbaglio, subisce la stessa, orribile sorte, se non peggiore.

martedì 2 febbraio 2010

Storielle Grottesche - 3

Un giorno uscì dalla sua casa un pastore, per recarsi col gregge ai pascoli delle montagne a nord del regno.

Forse era schiacciato dalle preoccupazioni, o adirato con la moglie, o fors’ancora semplicemente posseduto dallo spirito dei baratri di quei luoghi dove non cresce vita: fatto sta che appena uscito di casa iniziò a brontolare fra sè e sè, con voce sempre più forte, e lo sguardo sempre più cupo. E giunto che era al bivio del sentiero, appena fuori dal paese, inizio a levare grida al cielo, urla coperte di sangue, di maledizione. Al culmine dello spasimo prese il suo bastone da pastore e con questo diede una botta ad una pietra lì vicino: e l’uomo, pur cieco di collera, si sorprese a vedere che il colpo aveva spezzato la pietra, incrinandola come fosse un uovo.

E la sorpresa crebbe, quando vide le crepature farsi sempre più grandi, estendersi come a divorar la pietra; crebbe fino a diventare paura, quando le crepature iniziarono a serpeggiare sul terreno, spezzandolo, rovinandolo di fosse prima, e d’abissi poi.

Fu divorato dalla voragine il pastore; e furono divorati dalla voragine il suo gregge, e gli uomini ch’erano nelle vicinanze, ed il villaggio: che più divorava, e più la rottura aveva fame, e non accennava a fermarsi.

Forse si sarebbe rotto l’intero Regno, o il mondo intero, se non fosse stato per l’intervento delle guardie reali; accorsero dai quattro angoli del regno, e sigillarono la spezzatura con una colla fatta di vino e sangue di donna, e saliva: ma dove un tempo v’erano i villaggi del nord, rimane solo un rovina profonda e silenziosa.